La tabella evidenzia le perdite Ytd dei principali mercati azionari, con gli Indici Usa che hanno perso meno di quelli Europei, la Svizzera (con molti titoli farmaceutici e consumer) e la Cina tra i top performers ed in generale i mercati asiatici ed Usa che hanno resistito meglio alla crisi.
Il rimbalzo dei marcati Usa, iniziato il 23 marzo e che ha fatto recuperare oltre il 20% agli Indici azionari, è stato motivato dagli “interventi storici” del Governo Usa, che ha già stanziato i sussidi per 9 milioni di disoccupati e sta accreditando un assegno di 1.200 Usd per tutti i cittadini con meno di 75.000 Usd annui di reddito: altri 2.000 Bln Usd, invece, devono ancora essere autorizzati dal Congresso e perciò gli aiuti non sono ancora arrivati alle imprese.
Il rimbalzo è stato molto violento e veloce (così come la discesa), sostenuto dalla percezione che la pandemia non causerà centinaia di migliaia di vittime e che le Banche Centrali, ma soprattutto la Fed, possa sostenere i mercati finanziari in qualsiasi modo necessario (comprando treasury, mutui, corporate e facendo repos), come mai è successo nella storia.
Nel mese di marzo le Banche Centrali hanno comprato 1.400 Mld Usd di titoli ed il grafico mostra un calo nei mesi successivi sulla base dei programmi, ma l’unico dato reale è quello di marzo, perché nei mesi successivi possono continuare al ritmo di 1.000 Mld Usd al mese: la FED ha aumentato, da fine febbraio ed in solo 6 settimane, di 1.900 Mld. Usd il suo bilancio, pari a 6.000 Mld Usd, mentre in estate era di 4.000 Mld Usd miliardi.
Tutto questo oggi, dopo il rimbalzo iniziato il 23 marzo, è già prezzato dal mercato, che con Wall Street, a marzo, ha segnato il suo più brusco crollo di giornata (-10%) dal 1987, nonché il suo peggior trimestre dal 1938: il Dow Jones ha realizzato il calo trimestrale più marcato dei suoi 124 anni di storia, mentre l’indice S&P500 ha realizzato il ribasso più pesante dalla crisi finanziaria del 2008, con la perdita più rapida della storia, ovvero un declino del – 30% in 22 giorni di mercato.
I mercati azionari, come sempre, anticipano gli eventi ed anche in questo contesto hanno raggiunto un “punto di equilibrio”, scontando già tutti gli interventi delle Banche Centrali e gli stimoli fiscali dei Governi mondiali: gli Indici azionari, inoltre, stanno seguendo il trend di Wall Street, come hanno fatto negli ultimi dieci anni (la tabella riassume le performance dei mercati azionari mondiali in questo periodo).
Se utilizziamo gli ETF quotati in USA, vediamo quali Indici e settori hanno performato meglio da inizio anno: la tecnologia (XLK) ed il Nasdaq (NDX) si sono ripresi per primi, seguiti da Utitlites (XLU) e Real Estate (XLRE), S&P (SPX), Giappone e Dow Jones (INDU) a pari merito, poi mercati emergenti (EEM) ed infine Germania (EWG) ed Europa (EWU) per ultima.
Ad oggi il lockdown è ancora in corso e quello che a mio avviso il mercato non sta ancora “prezzando”, sono le sue conseguenze devastanti, sia economiche che produttive, con un’ondata di fallimenti aziendali, soprattutto tra le piccole-medie imprese ed un danno all’economia mondiale di dimensioni spropositate. (http://www.rfi.fr/en/business/20200409-france-faces-massive-wave-of-bankruptcies-small-businesses-end-april-coronavirus-lockdown-economy-covid-19?ref=fb).
Negli Usa, secondo la U.S. Small Business Administration (https://www.sba.gov/sites/default/files/March_April_2016_FINAL_508_compliant.pdf) ci sono 28.8 Mln di piccole imprese (quelle con meno di 500 dipendenti) con 56.8 Mln di dipendenti, che rappresentano il 99.7% di tutte le attività produttive degli Stati Uniti.
I mercati ancora non scontano l’impatto devastante che il lockdown (si sta considerando la cancellazione dell’Oktoberfest, per la prima volta dal 1813) avrà sul Pil mondiale e la vastità della “devastazione economica” e di “distruzione di ricchezza” a livello mondiale, che inizieranno ad emergere a maggio, una volta che la pandemia sarà sotto controllo e che non potranno essere gestite con la garanzia di tassi a zero e con il crollo di tabù fiscali e monetari.
Le perdite per azionisti ed obbligazionisti, diretta conseguenza dei fallimenti, nazionalizzazioni, aumenti di capitale e ristrutturazione del debito che dovranno affrontare, non sono ancora visibili negli Indici azionari: filiere produttive inceppate, utili falcidiati e settori come il petrolio ed il turismo in modalità di pura sopravvivenza, non sono ancora nei prezzi delle Borse.
La correzione dei mercati finanziari non è ancora terminata e dopo un fisiologico rimbalzo tecnico, mi aspetto che la discesa riprenda, con la stessa volatilità e velocità del mese di marzo.
Per quanto riguarda il Dow Jones, ritengo possibile un calo da questi livelli nel range -20/-25%, che può portare l’Indice in area 17.200 – 17.500 punti e forse anche fino a 15.200 – 15.500 punti, con una correzione dai massimi di circa il 50%: questa sarebbe l’area nella quale iniziare a considerare acquisti, perché anche in questo scenario, ritengo che quella in corso sarebbe una correzione e non l’inizio di un trend ribassista di medio-lungo termine.
Chi è già investito in equity da prima della crisi, può fare hedging sugli investimenti azionari (con Etf short, opzioni o con la vendita di future su Indici) per neutralizzare le perdite causate da un ulteriore crollo dei mercati sul Portafoglio: è fondamentale verificare che gli investimenti presenti possano attraversare la crisi con perdite reversibili, eliminando quelli che potrebbero invece produrre perdite irreversibili, ancora non scontate nei valori di mercato (per questi ultimi verrà il tempo per raccogliere a buon prezzo i “superstiti”, ma ora è presto).
Chi ha liquidità, dovrebbe aspettare che il Dow Jones arrivi sui supporti evidenziati, per iniziare una strategia di Piano di accumulo (Pac) sugli Indici azionari, dal momento che mai come in queste situazioni, “cash is king”.
Un’altra valida strategia per chi è liquido, è quella di considerare investimenti Alternative, che garantiscono un flusso cedolare certo e costante, senza essere correlati alle tradizionali asset class e quindi senza il rischio di essere esposti a volatilità e perdite in conto capitale: alcune di queste asset class possono essere illiquide, quindi devono ricoprire una percentuale modesta del Portafoglio complessivo.
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