Gran parte degli operatori del settore della Consulenza Finanziaria oggi si definiscono indipendenti, ma “definirsi” è diventata più una questione di marketing che di sostanza, dal momento che la reale Consulenza Indipendente, oltre a prevedere l’iscrizione ad apposito Albo nazionale, opera nel rispetto di regole uniche nel settore, che stabiliscono che il consulente:
Il Consulente Finanziario Indipendente offre un servizio realmente privo di qualsiasi conflitto di interesse, a differenza di quanto accade nellerealtà bancarie e nelle reti di vendita, dove operano consulenti private o promotori finanziari che, senza nulla togliere alla loro professionalità, come ha dichiarato il Dr. Paolo Savona, Presidente della Consob “hanno il dilemma che caratterizza i gestori del risparmio tradizionali, ovvero quello di porre in equlibrio gli interessi dell’impresa per cui lavorano, con quelli della collettività”.La normativa europea Mifid ha definitivamente evidenziato questo conflitto di interesse, cercando di tutelare gli investitori, che di fatto sono seguiti da promotori finanziarie e consulenti bancari, che in un modo o nell’altro, sono retribuiti (con stipendi, fees, retrocessioni, bonus, incentive e campagne vendita) in base ai prodotti finanziari ed alle soluzioni di investimento che vendono ai clienti.
Allego il discorso del Dr. Paolo Savona, Presidente della Consob, durante la presentazione della relazione sull’attività svolta dall’Organismo dei Consulenti Finanziari, nel 2019, presso la Camera dei Deputati, che ha dichiarato:“Anche io sono un utente dei Consulenti Indipendenti, che ritengo indispensabili, dal momento che non hanno il dilemma che caratterizza i gestori del risparmio tradizionali, ovvero quello di porre in equlibrio gli interessi dell’impresa per cui lavorano, con quelli della collettività: anche per questo motivo, i Consulenti indipendenti stanno introducendo nel nostro sistema finanziario nuovi equilibri per la tutela del risparmio”.
Il numero dei Consulenti Finanziari Indipendenti nel mondo cresce in modo costante ogni anno, segno dell’evidente soddisfazione del mercato che continua a farne richiesta: da una recente analisi dei mercati dei Paesi finanziariamente più evoluti, è emerso, infatti, che la consulenza finanziaria indipendente, remunerata solo a parcella, rappresenta il punto di riferimento per le scelte finanziarie di milioni di investitori. In particolare negliUSA, secondo l’ultima ricerca della CFP Board of Standards (la più grande organizzazione mondiale del settore) i consulenti fee only rappresentano la categoria professionale preferita da circa la metà degli investitori americani e dal 54% di quelli anglosassoni.
Questo significa che nei Paesi con maggior cultura finanziaria, il consulente indipendente viene già percepito come l’unica figura professionale in grado di tutelare i patrimoni dei clienti senza alcun conflitto di interesse: in Italia i consulenti finanziari indipendenti iscritti all’Albo sono passati dai 100 iniziali (quando nacque l’Albo) agli attuali 300, mentre nel mondo ad oggi sono oltre 180.000 i professionisti certificati con oltre 26 programmi riconosciuti da CFP (Certified Financial Planner).
Nel mondo finanziario la vendita di un prodotto implica il trasferimento al cliente di rischi e commissioni e più alto è il livello di rischio trasferito, maggiori saranno le provvigioni che vengono incassate da chi ha creato e venduto il prodotto: gli investitori non sempre hanno piena consapevolezza del rischio e dei costi presenti negli investimenti e la nuova normativa europea che disciplina i servizi di investimento (MiFID) cerca di tutelare gli investitori, mettendoli in guardia sui possibili conflitti di interessi che possono insorgere sui dirigenti, i dipendenti e gli agenti delle reti bancarie tradizionali.
L’investitore potrebbe avere in portafoglio prodotti inefficienti, costosi e con scarso rendi-mento, ma che hanno generato alta redditività a chi li ha venduti: il consulente finanziario indipendente invece, grazie alle sue competenze certificate e alla libertà che solo chi si fa pagare una parcella può avere, assiste il cliente nel riequilibrio dei rischi e dei costi presenti negli investimenti che compongono il suo patrimonio, ottenendo di conseguenza un notevole miglioramento dei rendimenti e della scelta dei migliori gestori.
Un’analisi di Banca d’Italia del 2017, denominata «il costo totale dell’investimento in fondi comuni – QEF n° 931» calcola, partendo dai dati dei bilanci delle case di gestione, un indicatore complessivo di costo, il TSC che è dato dal totale dei costi -TER- più le spese di sottoscrizione e rimborso dell’investimento. Sono proprio queste ultime voci a far aumentare il costo totale dell’investimento, spesso poco chiaro al sottoscrittore, che perciò avrà guadagni inferiori a quelli stimati: il TSC, ovvero il costo complessivo dei Fondi, è sempre stato in costante crescita, come dimostra la tabella allegata.
Il grafico evidenzia che nel periodo che va da 1999 al 2015, il 65% degli analisti finanziari ha consigliato di comprare investimenti azionari,il 35% ha suggerito di mantenere le azioni in portafoglio e solo il 5% ha consigliato di vendere: se l’investitore avesse seguito le indicazioni della propria banca, avrebbe dovuto solo mantenere azioni in portafoglio, senza mai venderle e quindi senza avere la possibilità di consolidare un profitto.
Questo atteggiamento, poco serio e professionale, che penalizza solo i clienti, è figlio ancora una volta del conflitto d’interesse che gli operatori del settore vivono ogni giorno e conferma che l’indipendenza è l’unica soluzione.
Dalbar Inc, fondata nel 1976, la più importante società americana di consulenza finanziaria indipendente, ha calcolato che nel periodo che va dal 1984 al 2013, l’investitore che ha sottoscritto fondi azionari USA ha guadagnato in media il +3.69%, mentre il mercato azionario americano, nello stesso periodo, ha guadagnato 11,11% (grafico 1).
Perché gli investitori non sono riusciti a guadagnare tanto quanto il mercato?
Il motivo risiede nei costi e nel conflitto di interesse che guida gli operatori a vendere un prodotto rispetto ad un altro: i Fondi utilizzati sono costosi ed inefficienti, perciò non possono guadagnare come il mercato.
Inoltre 8 Fondi d’investimento su 10 hanno performance peggiori del mercato: i 2 Fondi che si salvano, di solito peggiorano l’anno successivo (grafico 2) e questo conferma che gli strumenti di investimento sono spesso inefficienti per gestire i patrimoni dei clienti, che non avranno mai guadagni correlati all’andamento dei mercati.
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