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Emilia Romagna ed Italia: impatto della guerra sull’economia

La guerra tra Russia e Ucraina avrà serie ripercussioni anche sull’economia dell’Emilia Romagna, dal settore calzaturiero a quello del packaging ed infine alla meccanica, il conflitto peserà sui bilanci di tante aziende del territorio: Unioncamere Emilia Romagna evidenzia come questa nuova crisi può mettere “a rischio il 3% delle esportazioni regionali”, creando ulteriori danni rispetto a quelli causati dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei costi delle materie prime.

L’attuale conflitto rischia di ritardare ulteriormente la ripresa economica delle aziende del nostro territorio, ripresa che tra mille difficoltà dovute alla pandemia, aveva iniziato a concretizzarsi: Unioncamere evidenzia che sono 170 le imprese che hanno investito sul mercato russo ed ucraino, acquisendo il controllo di società estere ed altre 6.500 quelle che stanno commercializzando i loro prodotti su quei mercati, oppure stanno acquistando da partner russi e ucraini materie prime e semilavorati”.                    

A livello globale, inoltre, le esportazioni verso Ucraina e Russia valgono circa 2 Mld. Eur, ovvero poco meno del 3% di quanto commercializzato sui mercati esteri dall’ Emilia Romagna, mentre le importazioni si attestano a 720 Mln. Eur, ovvero 1.8% del totale regionale.

Quali sono le ripercussioni a livello nazionale?

Da uno studio di Banca Intesa sulle società italiane, evidenzia come i settori maggiormente esposti alle sanzioni ai danni della Russia siano quelli dell’energia e dei beni di consumo: Maire Tecnimont, la società italiana che fornisce servizi e prodotti di ingegneria e costruzioni per le industrie dell’oli&gas e della green energy, è esposta per il 25% del suo fatturato, a seguito di una controllata del gruppo operativa nel paese.

Sempre nel settore energy, Eni ha invece un’esposizione di solo il 2% del suo giro d’affari complessivo: nel comparto dei beni di consumo, le aziende maggiormente esposte al mercato russo sono quelle del lusso e dell’abbigliamento.

Geox produce nella regione l’8% del suo fatturato, Brunello Cucinelli il 5%, Monclear il 5%, Aeffe e Safilo il 2% circa: tra le altre aziende del settore consumer good è da sottolineare l’esposizione del 6% di De Longhi e quella del 3% di Davide Campari.

Tra i manifatturieri, Buzzi Unicem, azienda attiva nella produzione di cemento e calcestruzzo, genera il 10% dei suoi ricavi e del suo reddito operativo in Russia, Lu-Ve, società che produce prodotti per la refrigerazione e il condizionamento, è esposta per il 7.6% del suo fatturato, mentre il peso della Russia sul totale dei ricavi di Pirelli non supera il 3%.

Tra i farmaceutici, infine, Recordati è la più vulnerabile a seguito delle sanzioni economiche verso Mosca, dato il peso del 4.5% che il paese rappresenta sul suo giro d’affari complessivo.

L’Europa è fortemente dipendente dal gas russo, dal momento che oggi importa il 47% del suo fabbisogno totale da Mosca

Il grafico della US Energy Information Administration (https://www.eia.gov/todayinenergy/detail.php?id=51358) evidenzia che gli Stati Uniti sono diventati uno dei principali fornitori di gas liquido per l’ Europa, ma solo dal 2019 ed in particolare da quando è iniziata la pandemia: la liquefazione del gas naturale è l’unico modo in cui gli Stati Uniti possono competere con la Russia, in termini di materie prime da fornire all’Europa.

Il gas liquido, tuttavia, rappresenta ancora una piccola parte del consumo energetico in Europa.

Il grafico evidenzia come l’Ucraina sia attraversata dalle più importanti pipeline russe, che trasportano il gas naturale verso l’Europa.

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